Sri Aurobindo
ARAVINDA GHOSE nacque a Calcutta il 15 agosto 1872. Il suo nome, che in lingua bengali significa “loto”, fu presto anglicizzato in ‘Aurobindo’ ed è con questo nome che viene conosciuto.
Sri Aurobindo fu mandato a sette anni con i due fratelli a studiare in Inghilterra; studiò prima nella scuola inglese di Darjeeling, poi alla St. Paul’s School di Londra ed infine al King’s College di Cambridge, dove stupì per la solida padronanza delle lingue e letterature classiche.
Nel 1893 ritornò in India e si stabilì presso il Maharaja di Baroda. È in questo periodo che iniziò a conoscere la letteratura e la filosofia dell’antica India, rendendosi nello stesso tempo osservatore partecipe della situazione attuale e dello stato di schiavitù della sua gente. Nello stesso anno ebbe il coraggio di denunciare in un articolo il Congresso del Bengala: “Morente di consunzione … in un’era in cui democrazia ed altri termini altisonanti scorrono nei nostri discorsi in modo così sciolto, un corpo come quello del Congresso che non rappresenta la massa della popolazione, bensì una classe singola e limitata, non può onestamente dirsi Nazione.”
Cominciarono così gli anni ‘giornalistici’ e politici di Sri Aurobindo, che si dedicò attivamente alla causa nazionale e divenne uno dei più popolari leader della gioventù radicale del Bengala: fu tra gli editorialisti dell’Amrita Bazaar Pratika, primo direttore del Bengal’s National College e poi co-direttore del Bande Mataram, tutti giornali che ebbero un ruolo incisivo nella formazione di un movimento indipendentistico. Egli organizzò apertamente il gruppo progressista di giovani del Congresso in un nuovo partito politico in lotta col partito Moderato e lo persuase ad assumere il quotidiano Bande Mataram, che cominciò a circolare in tutta l’India, come proprio organo di partito. Sri Aurobindo fu il primo ‘politico’ in India che si preoccupò di dichiarare apertamente attraverso le pagine del giornale la completa e assoluta indipendenza quale fine dell’azione politica in India. Sempre tramite il giornale sviluppò, oltre ad un’azione di educazione nazionale, varie incisive azioni di non cooperazione, resistenza, boicottaggio, sabotaggio nei confronti del governo britannico in India.
Nel 1907 Sri Aurobindo (insieme ad altri patrioti del nazionalismo bengalese) fu arrestato e poi incarcerato nella prigione inglese di Alipore, dove rimase per un anno durante l’investigazione ed il processo, al termine del quale fu scagionato e liberato.
Nel frattempo, già dal momento in cui aveva rimesso piede sul suolo indiano dopo la sua assenza, Sri Aurobindo aveva avuto una serie di esperienze comunemente dette ‘spirituali’, pur senza nulla sapere a proposito di Yoga, che praticò in seguito da solo, continuando contemporaneamente a portare avanti anche l’azione politica senza alcuna opposizione tra le due cose. Nel 1908 si incontrò con un guru, Visnu Bashkar Lelé, seguendo le istruzioni del quale in soli tre giorni entrò in un silenzio assoluto della mente realizzando così il Nirvana (o Brahman, in cui l’universo appariva come irreale di fronte all’unica Realtà di ‘Quello’). Da quel momento mantenne sempre questo silenzio, e tutte le attività mentali, le parole, la scrittura, il pensiero e la volontà gli fluirono da una sorgente al di sopra della mente cerebrale; era entrato in quella che definì in seguito la coscienza sopramentale. Questa fu la base del suo Yoga. Egli stesso scrisse in una lettera: “… Cominciai il mio Yoga nel 1904 senza un guru; nel 1908 ricevetti un aiuto importante da uno Yogi Maharatta e scoprii le fondamenta della mia sadhana, ma da allora, finché la Madre non giunse in India, non ricevetti aiuto spirituale da nessun altro. La mia sadhana, prima e poi, non era fondata sui libri ma su esperienze personali che si affollavano in me dall’intimo. Ma in carcere tenni con me la Gita e le Upanishads, praticai lo Yoga della Gita e meditai con l’aiuto delle Upanishads, questi furono i soli libri nei quali trovai una guida; i Veda, che cominciai a leggere per la prima volta molto tempo dopo a Pondicherry, anziché guidare la mia sadhana, confermarono piuttosto le esperienze che avevo già avuto. …”.
Sri Aurobindo aveva adottato nella sua sadhana il principio di affidarsi completamente solo al Divino e alla sua guida, sia nella pratica spirituale che nelle azioni esteriori.
Durante l’anno di prigione ad Alipore egli dedicò quasi tutto il tempo alle letture di cui sopra, alla meditazione ed alla pratica dello Yoga. Se la realizzazione del “Brahman Silenzioso” ottenuta con Lelé era stata inizialmente accompagnata dalla percezione della totale irrealtà del mondo, questa percezione scomparve dopo la seconda realizzazione, che si verificò nella prigione di Alipore: quella della coscienza cosmica e del Divino in tutti gli esseri ed in tutto ciò che è. Inoltre, già ad Alipore egli si era messo in cammino verso altre due realizzazioni, quella della Realtà suprema (con il Brahman statico e dinamico come suoi due aspetti), e quella dei piani superiori di coscienza che conducono alla Supermente.
Sri Aurobindo aveva inizialmente intrapreso lo Yoga con l’idea di acquisire forza ed energia spirituali e la guida per la sua attività nella vita. Ma ora l’esperienza e la realizzazione spirituali interiori, che avevano continuato a crescere in grandezza ed universalità, divennero il fondamento della sua vita, mentre il suo lavoro cominciò a esserne una parte ed un risultato, oltrepassando poi ampiamente lo scopo iniziale di servizio e liberazione del paese per stabilirsi in un più vasto fine che riguardava tutto il mondo ed il futuro dell’umanità.
Quando Sri Aurobindo uscì dalla prigione decise di continuare la battaglia nonostante il Governo rimanesse determinato a liberarsi di lui. Una notte egli fu informato che il governo aveva intenzione di perquisire l’ufficio dove dormiva e di arrestarlo; mentre rifletteva sul da farsi ricevette il comando interiore, a cui obbedì senza esitazione, di andare a Chandernagore, nell’India francese, e più tardi a Pondicherry.
Da quel momento lasciò cadere ogni partecipazione esteriore all’attività politica pubblica. Vide che l’indi-pendenza dell’India era assicurata dal progresso di forze di cui era divenuto cosciente e che non vi sarebbe stato bisogno di una insurrezione armata. In disparte da tutto ciò, gli divenne sempre più chiara l’importanza del lavoro spirituale posto davanti a lui e concentrò tutte le proprie energie su esso. Ma questo non significava che si fosse ritirato in qualche altezza di esperienza spirituale privato di qualsiasi ulteriore interesse per il mondo o il destino dell’India, poiché l’autentico principio del suo Yoga non era solo quello di realizzare una Coscienza superiore, ma andare oltre, alla ricerca di un’esperienza più completa che unisse e armonizzasse i due limiti dell’esistenza, Spirito e Materia. La sua esperienza era partita inizialmente dagli antichi insegnamenti dell’India secondo cui dietro le apparenze dell’universo c’è la realtà di un Essere e di una Coscienza, un Sé di tutte le cose, unico ed eterno, di cui è possibile divenire coscienti attraverso una certa disciplina atta a rimuovere il velo di ignoranza che separa gli esseri da questa Realtà. Poi Sri Aurobindo rivelò che questo Unico Essere e Coscienza è presente allo stato involuto anche nella Materia, nell’oscurità ed ignoranza dell’attuale mondo materiale, e che l’evoluzione è il metodo attraverso il quale questa Realtà Unica libera se stessa. La coscienza compare in ciò che sembra essere incosciente ed è auto-stimolata a crescere sempre più verso l’alto e a svilupparsi verso una perfezione sempre maggiore. La mente, se è il termine più alto raggiunto fino ad ora dall’evoluzione, non è però l’ultimo grado che essa può raggiungere. Ma mentre i passi precedenti nell’evoluzione sono stati compiuti dalla Natura, nell’uomo essa diviene capace di evolvere per mezzo di una volontà cosciente. Non è comunque attraverso la volontà mentale nell’uomo che questo passaggio può essere compiuto completamente, poiché la mente arriva solo fino ad un certo punto dopo il quale essa può solamente muoversi in circolo. Si deve attuare una svolta della coscienza con la quale la mente deve trasformarsi nel principio superiore. Sri Aurobindo rivela infatti che è possibile la discesa di un nuovo potere di coscienza che egli chiama “Supermente”, il quale segnerà la nuova tappa evolutiva; questa nuova Coscienza non libererà solamente il Sé spirituale oltre il mondo, ma nel mondo, e sostituirà l'ignoranza mentale con una Coscienza di Verità supermentale che renderà possibile all’essere umano ritrovarsi e crescere oltre la propria umanità, ancora animale, in una razza più divina. Non si tratta quindi di un miglioramento, ma di una radicale trasformazione che coinvolge la Materia stessa.
Realizzare questa possibilità diveniva lo scopo dinamico dello Yoga di Sri Aurobindo.
Inizialmente Sri Aurobindo visse in ritiro a Pondicherry insieme a quattro o cinque compagni. In seguito sempre più persone cominciarono ad andare da lui per seguire il suo ‘sentiero’ spirituale ed il numero divenne così grande da dare vita, anni più tardi, ad un Ashram, che non fu in realtà istituito, ma crebbe spontaneamente.
Nel 1914 Sri Aurobindo fondò, insieme a Mirra Alfassa e a Paul Richard, il mensile filosofico bilingue “Arya”, nel quale pubblicò in pochi anni buona parte delle sue opere (19 libri in 7 anni). Nel frattempo, dal 24 aprile 1920, Mirra (chiamata in seguito Mère, La Madre) si era stabilita definitivamente a Pondicherry, accanto a Sri Aurobindo, per collaborare con lui a svolgere la sua ‘opera’. Nel 1926 Sri Aurobindo si ritirò nella propria stanza per meglio proseguire il lavoro spirituale, per “elaborare ogni cosa”, lasciando la responsabilità e la cura dell’Ashram (100 discepoli negli anni ’30, 741 nel 1950) alla Madre. Nel frattempo continuò a scrivere e rivedere le proprie opere; in particolare, negli ultimi anni, si dedicò alla stesura di Savitri, un poema di 23.813 versi, il più lungo mai scritto in inglese, che racchiude tutti i temi della sua opera ed esperienza. Il poema venne terminato nel 1950, anno in cui, all’età di 78 anni, Sri Aurobindo lasciò il corpo.
La Madre
MIRRA ALFASSA, chiamata in seguito semplicemente Mère, La Madre, nacque a Parigi il 21 febbraio 1878 da madre egiziana e padre turco. La sua vita e la sua opera furono intimamente legate a quelle di Sri Aurobindo, che incontrerà fisicamente all’età di 36 anni.
Mirra ricevette un’educazione impregnata di razionalismo positivista e materialismo:“Ero atea fino al midollo” … “Avevo la più solida delle basi: niente immaginazioni, niente atavismo mistico…” “Però c’era in me una volontà di perfezione, il senso di una coscienza senza limite”. Studiò pianoforte e pittura; per lei la musica ed i colori furono i primi strumenti attraverso cui sperimentò che la realtà non è quale ci appare, ma che c’è una “vera” materia da scoprire dietro l’apparenza delle cose, una “realtà qual è davvero”, che non smise mai di cercare e sperimentare; fin dall’infanzia, infatti, Mère visse, in modo assolutamente spontaneo e naturale, tutta una serie di esperienze che comunemente sono considerate ‘spirituali’ (la visione e sperimentazione di una realtà e di una vita sottile, delle vibrazioni che animano le cose e gli esseri dietro le apparenze, ecc…). A diciannove anni sposò Henry Morrisset, un pittore, ed entrò a far parte della vita artistica parigina, dove conobbe Rodin, Renoir, Degas ed altri pittori impressionisti. Nonostante tutto era molto sola e ‘soffriva’ della miseria umana che vedeva attorno a sé. “Ma come?”, si chiedeva, “questa sarebbe la vita? Questi sarebbero gli uomini?” E continuavano le sue esperienze interiori.
Verso il 1904 cominciò a fare una serie di sogni in cui incontrava Sri Aurobindo (di cui non aveva mai sentito parlare e che era completamente sconosciuto in Francia), davanti al quale si prostrava alla maniera indù senza comprendere bene cosa stesse facendo.
Sempre nel 1904 un giorno Mirra incontrò un singolare personaggio che si faceva chiamare Max Théon, il quale pubblicava a Parigi “La rivista cosmica”. Su quelle pagine Ella trovò per la prima volta la descrizione, anche se parziale, di alcune delle sue esperienze; Théon la invitò nella sua proprietà a Tlemcen, dove Ella soggiornò nel 1905 e 1906 e dove prese parte a certi suoi ‘studi’ ed esperimenti di tipo occultista; i poteri eccezionali dimostrati da Théon e dalla moglie non la stupivano, perché, oltre a non credere nell’esistenza dei miracoli, percepiva e sapeva che si trattava di una conoscenza della materia, della ‘materia vera’, e che la materia, di cui percepiva le qualità vibratorie, è più sottile di quanto si possa suppor-re: era la mente ad indurire, a creare i muri. Ma questi poteri straordinari non la interessavano: cercava qualcosa di ben più radicale, il modo per cambiare la vita alla radice.
A Parigi Mirra si occupò per 5 anni della “Rivista Cosmica” di Théon. Formò anche dei piccoli gruppi ai quali comunicava alcune sue esperienze ed intuizioni (che sembravano stranamente accordarsi con quelle che, nella lontana India, stava ‘formulando’ Sri Aurobindo): “Il fine collettivo da raggiungere è l’avvento dell’armonia universale, la realizzazione dell’unità umana”; “Solo la trasformazione della coscienza umana può portare un miglioramento autentico del-la condizione umana”.
Nel 1908 Mirra divorziò da Morrisset. Conobbe poi Paul Richard, un filosofo (con cui studiò le religioni comparate) che sposò nel 1910. Nel 1914 lo seguì a Pondicherry, dove egli si doveva recare per una campagna elettorale. Fu insieme a lui che Mirra il 29 marzo 1914 incontrò Sri Aurobindo nella sua casa e in lui riconobbe l’essere che vedeva la notte nei suoi sogni e che aveva finito per chiamare Krishna, avendo supposto che fosse una divinità indù. Insieme a Sri Aurobindo Mirra e Paul fondarono nel 1914 la rivista bilingue “Arya” affinché Sri Aurobindo vi trascrivesse e pubblicasse le proprie esperienze e rivelazioni, che essi avrebbero poi tradotto in francese. Mirra rimase un anno a Pondicherry durante il quale si recò ogni giorno da Sri Aurobindo; poi, il 22 febbraio 1915 ripartì con il marito. Dopo aver trascorso un anno in Francia si imbarcò per il Giappone, dove rimase 4 anni; “anni infernali”, come dirà Mère più tardi, in cui dovette lottare contro diverse malattie, cominciando ad immergersi in quello che sarebbe stato il suo campo di battaglia fino alla fine: le malattie e la morte.
Il 24 aprile 1920 Mirra ritornò definitivamente a Pondicherry, accanto a Sri Aurobindo, per proseguire insieme a lui la sua opera: fare discendere sulla Terra e nella Materia quella Coscienza superiore che egli aveva toccato oltre i piani della mente e della Sopramente, la “Coscienza di Verità”, attraverso un nuovo potere di coscienza, da lui chiamato “Supermente”, che avrebbe segnato una nuova tappa evolutiva. “L’uomo” diceva infatti Sri Aurobindo “è un essere di transizione. L’evoluzione continua ed egli sarà superato”. Si trattava di un difficile passaggio, il passaggio dell’uomo a qualcosa di diverso, che non portasse con sé l’ombra dell’ignoranza, dell’incoscienza, dell’oscurità, della morte. Sri Aurobindo e Mère scopriranno all’interno del corpo una “mente delle cellule” e, oltre la loro “mortale memoria genetica” in cui si cela il “nodo della vita con la morte”, una “mente solare e immortale” capace di aprire la strada ad un altro essere do-po l’uomo”. “Disfare la memoria delle cellule” … Questo sarebbe divenuto il lavoro di Mère, nel proprio corpo.
Nel frattempo intorno a Sri Aurobindo era venuto a crearsi spontaneamente un gruppo di discepoli che vole-vano seguire il suo sentiero: in quel periodo una decina, poi 24 nel 1926, e poi si sarebbero moltiplicati a decine e centinaia. Non ci fu mai la decisione di fondare un Ashram: “Il gruppo si è formato in modo talmente naturale, spontaneo…” (Mère) “…La totalità della trasformazione non può es-sere raggiunta attraverso un solo corpo. Se si vuole avere un’azione generale, ci vuole almeno un minimo di persone fisiche.” (Sri Aurobindo). Questo era il senso di quel laboratorio evolutivo, chiamato ‘ashram’, che si stava formando. Da allora in poi Sri Aurobindo chiamò Mirra Mère, la Madre. A lei egli affidò definitivamente la direzione dell’Ashram dal 24 novembre 1926, data in cui si ritirò nella propria stanza. “Tutte le mie realizzazioni sarebbero rimaste, per così dire, teoriche - diceva Sri Aurobindo - se la Madre non avesse indicato il modo di dar loro una forma pratica.” La Madre era il ponte con la Materia, era una Forza all’opera e si occupava di tutta l’organizzazione senza risparmiarsi. Lavo-rava sempre sui ‘due fronti’: con l’ashram, che con la guerra si era riempito di bambini e donne fuggiti dai bombardamenti, e con Sri Aurobindo, nel suo lavoro di realizzazione della nuova Coscienza.
Il 5 dicembre 1950 Sri Aurobindo lasciò il corpo e Mère, a 72 anni, rimase ‘sola’ a svolgere il lavoro.
Nel 1952 fondò con 200 allievi il Centro Universitario Internazionale Sri Aurobindo. Ella cercava di trasmettere ai discepoli ed ai professori la meraviglia del futuro, dell’i-inatteso, quel ‘qualcosa’ che si stava plasmando nel crogiolo evolutivo; un nuovo modo di educare, senza diplomi, senza ‘utilitarismo’, come diceva. Ma soprattutto proseguiva il suo lavoro su quel laboratorio evolutivo che l’ashram rappresentava e, sola, continuava l’immersione nella “nuova specie”, attraverso il proprio corpo che cessava di essere un corpo individuale, ma di-veniva il corpo stesso della Terra, un laboratorio del nuovo mondo (tutto è unito a quei livelli): “È nella frontiera cellulare che si trova la chiave, ovvero il passaggio della morte. E se la trasformazione è possibile in un corpo è possibile in tutti i corpi”. “Sarà proprio il corpo a gettare un ponte tra la vita fisica quale noi la conosciamo e la vita sopramentale che si manifesterà”.
Il 9 dicembre 1958 la Madre fu costretta ad interrompere le attività esterne e a ritirarsi nella propria stanza. Era entrata pienamente ad 80 anni nello “yoga delle cellule”, verso l’ultima frontiera con la vita e la morte
Nel pomeriggio del 17 novembre 1973, il suo respiro cessò. Aveva 95 anni.
“Per vincere la morte bisogna essere pronti a passare attraverso la morte”, aveva detto Mère.
Simbolo di Mère
Il cerchio centrale rappresenta la Coscienza Divina.
I quattro petali rappresentano i quattro poteri della Madre: Saggezza, Forza, Armonia, Perfezione.
I dodici petali rappresentano i dodici poteri della Madre manifestati per il Suo lavoro: Aspirazione, Perseveranza, Gratitudine, Umiltà, Sincerità, Pace, Equanimità, Generosità, Bontà, Coraggio, Progresso e Ricettività.
Simbolo di Sri Aurobindo
l triangolo discendente rappresenta il Sat-Chit-Ananda. Il triangolo ascendente rappresenta l’anelito della materia sotto forma di vita, luce e amore.
La congiunzione dei due triangoli, il quadrato centrale, è la manifestazione perfetta che ha come suo centro L'Avatar del Supremo che è simboleggiato dal fiore di loto. L'acqua all'interno del quadrato rappresenta la molteplicità, la creazione.